Da queste elezioni estive spagnole emergono due certezze. La prima è che il partito di estrema destra Vox guidato da Santiago Abascal, favorito da tutti i sondaggi, è uscito malconcio dalle urne. Rispetto alle elezioni del 2019 ha infatti perso circa 650 mila voti, che si tradurranno in 19 deputati in meno rispetto ai 52 di quattro anni fa.
La seconda è che non c’è un vincitore assoluto. Il primo ministro uscente Pedro Sánchez – che lo scorso maggio ha fatto cadere il governo dopo la sconfitta del suo partito socialista (Psoe) alle elezioni locali – nonostante l’intesa con l’alleanza dei partiti di sinistra di Sumar, guidata da Yolanda Diaz, non è riuscito a ottenere la maggioranza assoluta in Parlamento, restando lontano dalla soglia del 176 seggi.
La vittoria relativa è spettata al Partito Popolare (Pp) di Alberto Núñez Feijóo, storico partito di centrodestra, che ha superato Sanchez di pochi punti percentuali senza però ottenere la maggioranza necessaria a formare un governo. Anche unendosi a Vox, non supererebbe i 169 seggi. Situazione simile a quella di Sánchez che, pur alleandosi ai partiti della sinistra radicale arriverebbe a 153 seggi.
Nelle settimane di trattativa a venire c’è un partito che assumerà il ruolo di ago della bilancia: quello indipendentista catalano di Junts, guidato da Carles Puigdemont, attualmente in esilio in Belgio che prima delle elezioni si era sfilato da ogni sostegno ai partiti maggiori. Eppure, oggi i suoi sette seggi possono fare la differenza tra la formazione del governo e l’indizione di nuove elezioni.
Nell’imprevedibilità dello schieramento finale una sola certezza: Junts sosterrà quella porzione di governo pronta a concedere l’indipendenza della Catalogna o almeno a legittimare l’indizione di un referendum. Crinale molto scivoloso per Sánchez e sul quale ha insistito Vox durante la campagna elettorale, pronto a capitalizzare nelle elezioni successive i voti dei contrari all’indipendentismo catalano.
Con i negoziati per la formazione del nuovo governo che inizieranno il prossimo 17 agosto sotto l’egida del Re Felipe VI, il tempo a disposizione per trovare un accordo è minimo. Soprattutto, cedere alle richieste di Junts potrebbe far insorgere parte degli elettori di sinistra, minando alla base la stabilità del nuovo governo appena sorto ma soprattutto della Spagna.