Mercoledì Israele e Hamas hanno raggiunto un accordo per un cessate-il-fuoco di quattro giorni e la liberazione di 50 ostaggi israeliani in cambio di 150 detenuti palestinesi. Il Qatar, di concerto con gli Stati Uniti, ha assunto un ruolo fondamentale nella mediazione attraverso uno stretto lavoro diplomatico.
Il Qatar ha stretti rapporti politici e finanziari con Hamas, di cui negli anni è divenuto uno dei principali finanziatori. Numerosi vertici delle milizie sunnite trovano rifugio a Doha, da cui poi coordinano le operazioni militari nella Striscia di Gaza. E intanto Al Jazeera, con sede nell’emirato, funge da megafono per la questione palestinese.
Ma al contempo il Qatar detiene una solida relazione con gli Stati Uniti. Washington si serve di Doha per giocare su più tavoli negoziali. Dalle trattative con i talebani fino allo scambio di prigionieri con l’Iran. Con il territorio qatarino che ospita inoltre migliaia di truppe statunitensi nella base militare aerea di Al Udeid, una delle più importanti della penisola arabica.
Nel corso degli anni l’Emirato ha tessuto una fondamentale rete diplomatica anche con le milizie di Hamas. Su imbeccata di Washington nel 2012 fu aperto il primo ufficio politico di Hamas in Qatar. L’obiettivo era stabilire una linea indiretta di comunicazione con le milizie sunnite.
L’attivismo negoziale ha permesso al Qatar di assumere un ruolo di ponte strumentale tra Israele e Hamas. Con tanto di riconoscimento formale anche del segretario di Stato Blinken, che in visita a Doha si è detto «grato per l’urgenza con cui il Qatar sta seguendo questa questione». Nella infausta certezza che un mancato sostegno di Doha potrebbe far scivolare Hamas nelle braccia dell’Iran. Distruggendo ogni spiraglio di trattativa.