La scorsa settimana, Sam Altman, amministratore delegato di OpenAI, la più importante azienda americana che si occupa dello sviluppo dell’intelligenza artificiale, è stato sollevato dal suo incarico. Salvo poi ritornare meno di 96 ore dopo. Eppure qualcosa è cambiato. E non si tratta (solo) di una interna lotta di potere.
OpenAI fu fondata nel 2015 da un gruppo di ricerca guidato da Elon Musk e dallo stesso Altman. In breve tempo ottenne lauti finanziamenti da aziende private e dal governo federale. Da poco più di un anno ha diffuso ChatGPT, un modello linguistico capace di interagire brillantemente con le richieste degli utilizzatori.
Ma nonostante risultati impressionanti, ChatGPT è ancora lontano dall’essere classificato come una Intelligenza Artificiale Generale (Agi), ovvero un «sistema di intelligenza artificiale ordinariamente più intelligente di un essere umano».
Altman starebbe tuttavia lavorando allo sviluppo di Q*, una intelligenza artificiale generale capace di preoccupare alcuni dipendenti di OpenAI e gli apparati statunitensi. In questi mesi avrebbe anche stretto accordi con aziende cinesi ed emiratine per velocizzare il processo di sviluppo di Q*.
Nelle ultime settimane le sue mosse sono state attenzionate dallo Stato profondo americano. Altman avrebbe anteposto lo sviluppo di una tecnologia agli interessi nazionali statunitensi, arrivando a condividere informazioni sensibili con Pechino. Per il Pentagono il problema risiederebbe nella commercializzazione delle Agi senza prima un’effettiva comprensione delle conseguenze.
Dopo il rapido esilio, Altman è tornato nel ruolo di amministratore delegato con un consiglio di amministrazione rivisto e affine agli interessi di Washington. Al suo interno figurano Bret Taylor, ex amministratore di Salesforce, azienda con stretti legami con il Pentagono, e Lawrence Summers, ex segretario al Tesoro. Al contempo Altman avrebbe garantito una «maggiore condivisione e trasparenza» nelle operazioni dell’azienda. Sotto l’occhio attento di Washington.