Negli ultimi anni l’India è stata la nazione che ha imposto il maggior numero di blocchi di Internet a livello globale – più di Iran, Siria, Turchia e Pakistan messe assieme. Per Delhi controllare le reti cibernetiche è essenziale per contenere le spinte centrifughe.
Nell’ultimo decennio il governo ha fortemente investito nello sviluppo delle infrastrutture digitali. Oggi in India (quasi) tutto ruota agli smartphone, dall’accesso ai servizi governativi all’assistenza sanitaria.
La maggiore dipendenza dalla rete ha amentato il potere degli apparati. Ufficialmente i blocchi vengono applicati per limitare la diffusione di «disinformazione pericolosa».
L’oscuramento della rete permette anche di nascondere alla popolazione alcuni momenti critici. Dopo aver revocato l’autonomia amministrativa di Jammu e Kashmir, nel 2019 Delhi ha disposto il blackout delle comunicazioni appena esplose le proteste.
Lo scorso anno sono state sospese le connessioni nello Stato del Punjab per rintracciare un predicatore che inneggiava al separatismo sikh. Lo stesso è avvenuto poco dopo nel Manipur mentre si verificavano scontri interetnici.
I blocchi sono facilmente aggirabili e l’utilizzo dei blackout ha aumentato le violenze. Eppure l’India continuerà a limitare l’accesso alla rete per contenere i rischi della frammentazione etnica. Principale ostacolo verso lo status di superpotenza.